World Wide Surf Guide

 

MARTINICA: INFORMAZIONI

La Martinica è stata scoperta nel 1502 da Cristoforo Colombo. Gli indiani Caraibici l'avevano soprannominata Madinina, l'Isola dei Fiori. Dal 1815, dopo qualche periodo di discordia tra l'Inghilterra e la Francia, la Martinica passa definitivamente alla Francia, diventando un dipartimento francese nel 1946. L'isola si estende su 1080 kmq per una popolazione di circa 330.000 abitanti. Quest'isola di origine vulcanica offre dei paesaggi di montagne verdeggianti e di spiagge di sabbia bianca. Il rilievo è composto da una moltitudine di piccole colline chiamate "mornes". A Nord Est c’è la Montagne Pelèe (la Montagna Pelata), alta 1397 m. Al centro "Les Pitons du Carbet" (I pitoni del Carbet) 1207 m. Una sola pianura importante, al centro dell'isola, a "Le Lamentin", dove si trova l'aeroporto. La penisola della Caravelle che si sporge nell'Atlantico nella regione di Trinite, costituisce un Parco Naturale. Fort de France, la capitale amministrativa dell'Isola, è il prototipo stesso della città coloniale con le sue vie strette e perpendicolari tra loro orientate dal mare verso l'interno delle terre. 100.000 abitanti risiedono a Fort de France, la capitale, che successe a Saint-Pierre, distrutta dall'eruzione della Montagne Pelèe nel 1902. La flora della Martinica è molto ricca e l'isola merita il suo soprannome di Isola dei fiori. Un'incredibile armonia di colori composta da molte varietà di hibiscus, di Poinsettias, boungainville e Anthuriums fiammeggianti

APPUNTI DI VIAGGIO

I cosiddetti “giorni della merla” erano ormai alle porte, e una freddissima tramontana iniziava a soffiare lungo le coste tirreniche. Il mare calmo e gelido riempiva di sconforto le mie giornate, trascorse sorseggiando tè e cioccolata calda al bar con i miei amici, sfogliando l’ultimo Revolt. Le bellissime foto del servizio sullo Sri Lanka risvegliarono ben presto in me la voglia di estate e di mari caldi…non potevo andare avanti così… Ormai l’unica cosa da fare era partire. Consultai tutti i miei amici, ma nessuno purtroppo era in condizioni di seguirmi. L’unica via d’uscita era viaggiare da solo. Così, nel pomeriggio più freddo, andai in agenzia per avere info su biglietti e costi: le opzioni migliori, per distanza e prezzi, si rivelarono ben presto le calde antille. Tra tante isole il mio interesse si concentrò subito sulla Martinica, un’isola francese (D.O.M.) abbastanza piccola per essere girata in poco tempo ma piena di insenature con un grande poteziale surfistico. Guardai così le previsioni su internet, e feci coincidere la mia partenza con l’entrata di una consistente perturbazione dal nord atlantico, che minacciosa si stava avvicinando in quei giorni al golfo del Messico: le boe al largo segnavano da 3 a 10 piedi l’altezza delle onde. Rassicurato da questa notizia preparai i bagagli, imballai le tavole e partii alla volta di Fort de France (capoluogo dell’isola), con scalo a Parigi. L’aereo “Roma Fiumicino”-“Parigi Charle de Gaulle” arrivò puntualissimo a destinazione. Ritirai tutti i miei bagagli e mi diressi verso l’altro aereoporto della città (“Orly”) per prendere il volo per Martinica. Visto da fuori dovevo sembrare veramente buffo…carico come un asino da soma, con movimenti affannati, arrancavo lungo la strada per l’aereoporto di Orly in mezzo alla neve, con delle tavole da surf sotto braccio! Una comitiva di russi in gita mi guardava giustamente sbalordita…un paio di loro mi scattarono addirittura delle foto. Tornati a casa avranno probabilmente detto agli amici :”ecco a voi, sotto la Tour Eiffel, il famoso surfista delle nevi!”. Raggiunto l’aereoporto imbarcai i bagagli, pagando 60 euro per le tavole, e, dopo un’oretta per il check in, salii sul boeng 747 dell’Air France. In economy la distanza tra un sedile e l’altro era di 30 cm, e lo spazio vitale ridotto mi consentiva a malapena di piegare la testa…ma non importava, avrei sopportato anche peggio pur di surfare belle onde con mare caldo in febbraio. La durata del volo era di 10 lunghissime ore, nelle quali l’aereo inseguiva perennemente il sole. Ma calò comunque la notte, e l’aereo atterrò a Fort de France alle 20,00, ora locale. Feci la fila per il controllo passaporti ed aspettai ansioso l’arrivo delle tavole, sperando che da 2 non diventassero 4 mini shortboards. Nell’attesa però un innocente cagnolino, un cocker dal pelo rosso, mi manifestò la sua gioia saltandomi sulla gamba e muovendo la coda in segno di festa. Sorpreso dalla sua inaspettata presenza lo accarezzai: “ciao bel cagnolino, che ci fai qui???”. Non feci in tempo a finire la frase che un gendarme francese mi strattonò dicendomi, con un inglese trascurato, di seguirlo. Sul mio volto il sorriso si tramutò velocemente in una smorfia di sconforto. Intesi subito la situazione: quello non era un simpatico cagnolino, ma un ben addestrato cane antidroga. Ben addestrato per modo di dire, dato che l’unico odore sospetto che aveva potuto sentire sui miei pantaloni, era la traccia lasciata dal mio pastore tedesco femmina, in calore in quei giorni. Nella tratta che mi separava dal ritiro bagagli al commissariato dell’aereoporto, cercai inutilmente di spiegare la situazione alle forze dell’ordine. Nulla però riuscì a farmi scampare dalla lunga perquisizione che mi attendeva dietro la porta. Entrati nell’ufficio ci attendevano altri due gendarmi armati di guanti, e uno di loro mi chiese con un sorriso inquisitorio: “Ashes? Marjuana? Eh, allor?”. Cercai subito di spiegare che avevo una cagna in calore a casa che gironzolava vicino i panni stesi, ma probabilmente non li convinsi…Così iniziò l’indagine nei miei bagagli: mute, licre, costumi, calzari, macchina fotografica e ciabatte saltarono fuori dalla mia valigia. La tristezza iniziava a serpeggiare sui loro volti, fin quando uno di loro tirò fuori un barattolino di polvere bianchissima. Mi misi a ridere, ma la mia ironia non coinvolse anche i miei persecutori. Così precisai subito che quella non era ciò che sicuramente pensavano, ma solo qualche grammo di innocua creatina per permettermi di surfare più a lungo. Ciononostante aprirono il barattolino e assaggiarono la pseudo-cocaina, avendo così la conferma che non mentivo. Finito di rovistare nei bagagli passarano alla perquisizione delle tavole. Qui trovarono la mia paraffina avvolta da carta argentata, e uno di loro esclamò sorridente “ah,ah,ah, trouvè!”. Scossi la testa in segno di dissenso e quando aprirono la confezione apparve subito la scritta “SEX WAX”… Dopo circa un’ora per rimettere a posto le valige e per firmare cartacce, mi lasciarono andare. Ma la sventura più grande però mi attendeva uscito dall’aereoporto: colui che mi sarebbe dovuto venire a prendere, un impiegato dell’albergo che avevo prenotato, se n’era giustamente andato. Chiesi il prezzo di un taxi per Trinitè, ma la somma chiesta era inaccettabile (50 euro per 10 km!). Così richiamai in albergo da una cabina telefonica e pregai il buon uomo di tornare a prendermi. Arrivato in albergo, entrai in stanza e morii sul letto senza disfare i bagagli. Mi svegliai alle 6,00 a.m. ora locale grazie al fuso orario. La sera prima non avevo visto molto del paesaggio che mi circondava, un po’ per la stanchezza e un pò perché era effettivamente buio, e decisi quindi di dare un primo sguardo fuori dalla porta. L’albergo era proprio in cima alla montagna che dominava la cittadina di Trinitè e la sua baia, e appena fuori dalla stanza si poteva ammirare un bellissimo paesaggio. Il mare era molto distante, ma riuscii subito a scorgere i primi sintomi della swell che stava entrando in quelle ore.

PRIMO GIORNO
Presi la mia 5.11 nuova nuova e riempii lo zaino con un costume, una licra, un mutino e la macchina fotografica. Mentre stavo uscendo dall’albergo incontrai, per mia fortuna, David, un surfista locale che lavorava nell’albergo dove alloggiavo, che mi accompagnò alla Plage de Surfers. Questo spot, secondo lui il migliore dell’isola, si trovava sulla penisola della Caravelle, a fianco a un villaggio di pescatori, “Tartane”. Nel tragitto (7 km) mi diede tutte le info che mi occorrevano, e mi illustrò tutti gli altri spot dove passavamo. La prima visione della Plage de Surfers rimase ben impressa nelle mia mente: questo spot si trova proprio in mezzo ad un parco nazionale, immerso nella vegetazione dalla quale solo poche case di legno fanno capolino. Le onde erano ben visibili anche se, ad un primo sguardo dall’alto, non riuscii a determinarne la grandezza. Mi lasciò davanti all’entrata della foresta e mi augurò un buon surf (lui, purtroppo, doveva tornare a lavorare in albergo). Seguii, tavola sotto braccio, il sentiero che porta alla spiaggia e mi ritrovai dopo pochi minuti di fronte allo spot. Le onde erano fantastiche, destre e sinistre che rompevano su un reef di roccia. Raggiunta la line up, seduto sulla tavola, girai lo sguardo a 360 gradi: dietro di me c’erano le montagne e la rigogliosa foresta, il sole era appena sorto ed emetteva una luce opaca ma bianchissima. Di fronte invece intravedevo le gobbe delle onde che preannunciavano la serie e un gigantesco arcobaleno (la notte aveva piovuto) incorniciava la baia. Tutto ciò per cui avevo lasciato casa mia e l’inverno era proprio intorno a me…un vero paradiso terrestre. Surfai ininterrottamente per 3 ore, completamente da solo. Le onde erano sul metro, ma la serie raggiungeva ben oltre il metro e mezzo. Ma l’arrivo della bassa marea portò con sé anche alcuni surfisti francesi, migliorando notevolmente le onde per grandezza e forma. La serie ora toccava i 2 metri e l’onda si fece molto più scavata. La partenza sul picco era ripidissima e la parete molto bella e veloce. Dopo tutta la mattinata in acqua decisi di uscire per mangiare, e scattai altre foto. Dopo 10 min di cammino arrivai in un tipico ristorantino caraibico, proprio sopra la Plage de Surfers e le VVF (spot a sinistra del primo). Seduto con vista degli spots, sorseggiavo un buonissimo Daquiree.

SECONDO GIORNO
La mattina del secondo giorno mi sveglia un messaggio dal mio cellulare. Intontito dal sonno presi il telefono in mano e lo lessi:” ah matto, sono Alessio. Io sto partendo per Barbados o qualche altra isola dei caraibi, vieni con me?”. Sorrisi e risposi che io, ai caraibi, già c’ero! Se l’avessi saputo prima avrei avuto un ottimo compagno di viaggio. Scesi in paese, a Trinitè, per raggiungere la stazione degli autobus. Notai subito che non esistevano orari e i mezzi partivano solo quando erano completamente pieni… aspettai la partenza del mio bus per più di un’ora… Il tragitto dell’autobus differiva da quello del giorno prima con David e, anche se era più lungo, ebbi l’occasione di percorrere una strada paesaggisticamente più bella. Le coltivazioni di canna da zucchero ricoprivano completamente la penisola delle Caravelle fino all’inizio del Parco Nazionale: questa risorsa è economicamente fondamentale per l’isola. Arrivato di fronte allo spot del giorno prima trovai le stesse ottime condizioni ma con molta più gente. Dopo ore di surf, verso le 16,00, decido di uscire dall’acqua e di organizzare il rientro. Arrivato davanti al capolinea degli autobus, a Tartane, attesi per 2 ore, senza vedere anima viva. Allora un uomo si avvicinò verso di me e mi disse qualcosa in francese: dal suo discorso di 5 minuti capii solamente che, a quanto pare, dopo le 17,00 sull’isola non passavano più né autobus e né taxi. Lo sconforto sopraggiunse nella mia mente. Ero in un paesino di pescatori, in mezzo a una foresta, distante 7 km dal mio albergo, senza un mezzo di trasporto…e soprattutto stava calando la notte. Rimasi immobile per più di 20 minuti, senza pensare a nulla. Altre volte mi sono trovato in situazioni del genere, e l’ho sempre scampata in qualche modo, ma stavolta non avevo in mente nessuna via d’uscita. Sapevo solo che l’unica cosa da non fare era rimanere fermo in quel punto. Così mi incamminai a piedi verso l’entroterra della penisola, lungo la strada che passa attraverso la foresta: zaino sulle spalle, con un braccio tenevo la tavola e con l’altro disteso tenevo il pollice in su in segno di autostop. Molte macchine passarono, ma nessuna si fermò. Questo fu davvero uno di quei momenti in cui la qualità della propria vita raggiunge livelli bassissimi. Girai molti tornanti, fino a raggiungere uno spiazzo isolato che, come una grande terrazza sull’oceano, si affacciava su tutta la baia di Tartane. Mi fermai un attimo per riposarmi e notai subito lo splendido scenario di fronte ai miei occhi: da lassù si riusciva a vedere il reef dove rompevano le onde e la laguna sottostante, il tutto incorniciato da un roseo tramonto. Dopo la sosta camminai a lungo incrociando molte altre automobili; in una di queste c’erano alcuni surfisti francesi che, ridendo di me, alzarono la mano in segno di saluto ironico. Evidentemente nessuno di loro si era mai trovato in una situazione del genere… Quando però calò definitivamente la notte e il morale era più basso che mai, mi sorpassò un surfista locale in una Clio. Rallentò e mi rivolse il classico saluto surfista. Allora alzai nuovamente il pollice e lui inchiodò sgommando con le ruote. Lui era diretto a Fort de France, città opposta alla mia, ma decise ugualmente di portarmi a destinazione. Salito in macchina notai subito il sale bianco seccattosi sul volto scuro, e il costume e la tavola ancora bagnati: era uscito da poco. Lungo la strada mi sommerse di parole, tutte in francese, delle quali capii molto poco…probabilmente mi stava illustrando gli spot più belli dell’isola. Io annuivo quando parlava e sorridevo quando rideva, non sapevo cos’altro fare. Dopo qualche chilometro incontrammo i “cordiali” surfisti francesi che mi avevano lasciato a piedi: erano fermi sul bordo della strada con una ruota bucata…sorrisi e gli rivolsi lo stesso saluto che serbarono per me qualche minuto prima, pensando “chi la fa, l’aspetti! Fu una grande soddisfazione… Arrivammo a Trinitè dopo pochi minuti. Prima di lasciarmi però, mi annunciò che l’indomani sarebbero arrivate onde formidabili. Così lo ringraziai ed ognuno riprese la propria strada.

TERZO GIORNO
Alle 7,00 del mattino il mio morale era già alle stelle. Nemmeno mi lavai il viso che già ero alla stazione degli autobus, con la tavola sotto braccio e lo zaino in spalla. Il sole oggi illuminava l’isola a intermittenza e grandi banchi di nuvole sfrecciavano nel cielo sopra la mia testa: qualcosa nell’aria era cambiato. Infatti, ad una prima occhiata, la grandezza delle onde sembrava raddoppiata, e da in cima alla montagna consulto tutti gli spot. La Plage era affollatissima e le onde molto ripide e veloci: troppo complicato surfare li. Decisi che oggi avrei sondato le VVF. Qui infatti l’onda sembrava più soft, pur essendo sempre molto potente. La prima onda che presi confermò quello che pensavo guardando dall’alto: partenza facile e paretone non troppo veloce. Inoltre in acqua eravamo solo in tre! Le VVF costeggia la montagna fino all’interno della baia: qui si srotola una destra molto lunga (la più lunga dell’isola), che corre per un centinaio di metri lungo la parte destra della grande baia.

QUARTO GIORNO
Come da copione pago il conto a le “Brin d’Amour” e, con tutti i miei bagagli, mi incammino a piedi verso le Supermarcheé e la stazione degli autobus, fermandomi ogni 100 metri per cambiare disposizione a tavole e valigie: iniziava a sembrare un impresa quasi impossibile. Dopo 10 min avevo percorso meno di 500 metri, ed il supermercato era a 3 km! Dovevo sembrare davvero un disperato dato che una ragazza creola, che faceva la stessa mia strada, si fermò a contemplare la mia operosità. Capì subito che non ero del posto, dato che mi parlò per la prima volta in inglese: “pensi di portare tutta quella roba da solo?dove sei diretto?”. Risposi che andavo al supermercato, e lei si mise subito a ridere. “A piedi?mi sembra impossibile con questo sole, ti do una mano”. Per mia grande fortuna la gentile ragazza si accollò il mio trolly, e mi scortò fino a destinazione. Così gli chiesi perché tutti qui erano così cordiali, e gli spiegai che in Italia funzionava al contrario. Lei mi rispose nel più semplice dei modi: “Così cordiali? E perché non dovremmo esserlo?”. Pensai che questa è solo una delle tante lezioni che si possono apprendere da un surftrip solitario… Arrivo a destinazione (Tartane) e surfo tutto il giorno come un matto. Con il calar della sera esco dall’acqua e mi metto alla ricerca di un albergo nelle vicinanze degli spot. Ma la stanchezza vince sulla mia buona volontà di risparmiare e scelgo il primo alloggio che mi capita. Così poso tutta la mia roba al “Residence Oceane” e chiedo quanto costano quattro notti. La receptionist mi risponde e mi lascia di sasso con le tavole in mano: il prezzo è doppio di quello richiesto dall’albergo precedente! Senza contrattare annuisco e pago.

QUINTO GIORNO
Con la vicinanza agli spot la mia giornata cambiò radicalmente. Appena sveglio, ero già in acqua. Gli unici momenti in cui non trovi nessuno sulla line up sono infatti l’alba ed il tramonto. Così passai il giorno a surfare per tutto il tempo possibile, facendo amicizia con molti surfisti dell’isola. Il più particolare in assoluto è Jonathan Carpin: è l’unico big wave rider del posto, e si butta in acqua solo quando le onde superano i tre metri. Quando gli chiesi quanti metri reggevano gli spot dell’isola, mi rispose insoddisfatto: “fino a 5 metri e qualcosa di più…” Sbalordito dalla sua risposta, mi mostrò perfino qualche sua bella foto: in confronto a quella montagna d’acqua (sarà stata almeno 5 metri), lui e la sua tavola assomigliavano più a un puntino nero che a un surfista… La sera, quando uscivo dal mare, gli facevo spesso visita in camera. Era solito sedersi sul suo balcone vista mare, ascoltando a tutto volume musica lirica (stile Pavarotti-Bocelli) e sorseggiando la sua inseparabile bottiglia di potentissimo rhum fatto in casa. Mi disse che il miglior periodo per trovare onde adatte a lui era da ottobre a inizio gennaio. In quei mesi infatti notevoli perturbazioni si abbattono sulla east coast di Martinica.

SESTO GIORNO
Dopo 8 ore per la transvolata oceanica e 2 per il cambio di aereoporto, mi trovavo sul volo Air France “Parigi-Roma”. Accanto a me sedevano due ragazzi sulla trentina, italiani, che avevano appena passato una settimana a Parigi. Erano eleganti e profumatissimi, occhiali Gucci trasparenti e scarpa scamosciata. Al confronto io sembravo uno sbandato: ero stanco morto, con occhi socchiusi, vestiti sporchi, spellato in volto, e con una fame da lupi (non mangiavo da 12 ore!). Nel dormiveglia li sentii conversare tra loro. Parlavano di costosissimi locali notturni, hotel magnifici e serate indimenticabili con donne indimenticabili. Quando l’hostess ci portò il pranzo rimasi colpito da un’affermazione di uno dei due: “Io questa robaccia non la mangio”. Poi aprendo il vassoietto lanciò un’occhiata all’interno: “Guarda che schifezza, non lo mangerei nemmeno se mi pagassero…” Io lo guardai, risi tra me e me e divorai tutto quello che avevo davanti…fu il pasto più buono della mia vita.

 

 

 


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